Sabato sera al MilanoFilmFestival abbiamo assistito ad un’altra prima italiana (dopo il film di Jarmush di cui ho già parlato e straparlato): il documentario HBO Mapplethorpe. Look at the pictures.
Ovviamente conoscevo Mapplethorpe. In casa custodisco il libro Perfection in form che ne definisce bene in un certo senso la poetica, però, perché c’è sempre un però, dopo aver visto il documentario una cosa mi è balzata agli occhi con evidenza: l’importanza ancora oggi in arte del “contenuto”.
Mi spiego (o ci tento): da sempre osservando e gustandomi un’opera sono concentrato sulla struttura e sui valori estetici. Composizione, colori, ombreggiature, primi piani e piani secondari, masse, spazio pittorico: queste sono le cose che guardo. La cosa dipinta o fotografata mi interessa meno, o, meglio, non ho mai pensato fosse l’oggetto, il contenuto a definire la grandezza di un artista.
Il libro Perfection in form mi aveva rassicurato in questa mia sicurezza (nel libro si dimostra un parallelismo tra classici, Michelangelo in primis, e fotografie), però, perché c’è sempre un però, bisogna con onestà ammettere che prima e in maniera sovrastante per lunga pezza rispetto ad ogni altro valore le fotografie di Mapplethorpe hanno avuto un valore documentale. L’aver mostrato una parte della rivoluzione sessuale statunitense anni settanta, aver osato scoprire le abitudine anche più estreme del mondo della omosessualità, aver sdoganato (per un breve periodo) il pene maschile come possibile oggetto d’arte, ebbene ha certamente decretato il successo di Mapplethorpe.
In questo il pubblico e la critica hanno immagino voluto premiare il coraggio, l’onestà oltre che la sapienza nella visione. Dico sapienza nella visione perché grazie al documentario ho scoperto che Mapplethorpe tecnicamente non era in grado di svilupparsi e stamparsi le fotografie. Inizialmente cavalcò l’epoca della Polaroid. Poi avuti i quattrini sia grazie alle vendite che ad un amante facoltoso ha potuto permettersi uno stampatore personale che ne seguisse gusti e tendenze.
Ma tornando al dunque l’oggetto, la cosa, il contenuto devono riprendersi questo ruolo centrale? Io dico sempre che ognuno dipinge ciò che vede e noi cosa vediamo oggi?
Caro Sandro, io credo che “la cosa” come la chiami tu, debba essere sempre al centro di ogni riflessione/operazione artistica, al di là di quello che vogliono far crederci, secondo me non se ne può fare a meno.
Nel caso di Mapplethorpe (che mi affascina e infastidisce al tempo stesso – e non per un antiquato senso del pudore, ma per la “violenza” sbattuta in faccia e senza filtro) è evidente che la “cosa” l'”oggetto” sia testimonianza del suo lavoro… estetico e documentale insieme; il fatto che lui non stampasse è un dettaglio per così dire, l’occhio era il suo e la capacità di cogliere i cambiamenti e le rivoluzioni in atto pure (basta pensare oggi con gli artisti che non scolpiscono o dipingono in prima persona demandando alle loro factory). Tutto il concettuale, il filosofico e il dover necessariamente studiare per comprendere e capire è – secondo me -, un intervento a posteriori che può solo arricchire la nostra conoscenza ed ampliare il nostro pensiero rispetto all’apprezzamento o meno rispetto al tale artista; ma senza la relazione estetica, il beneficio relazionale tra noi e l’opera non si crea. Per cui, confermo che la “cosa”, il “mezzo”, l'”oggetto” debba esserci come condizione sine qua non. Tutto il resto è successivo!
caro Lois, la questione è aperta. Moltissima pittura (quasi tutta quella del novecento, salvo rari casi) ha avuto fortuna a dispetto di temi e oggetti ritratti senza particolari significati. Cezanne in primis, Matisse, lo stesso Picasso (salvo Guernica) e giù giù per le scale fino ai nostri quasi contemporanei Morandi, De Chirico, ecc ecc. In passato il tema, la cosa dipinta, come mi esprimo grossolanamente, aveva maggiore rilievo se non altro perché la pittura era maggiormente racconto di quanto oggi non sia. Oggi la situazione è in parte diversa. Il papa di Catellan, le bandiere di Jasper Johns, la pop art di Wahrol, lo squalo di Hirsht ecc ecc. Però resta predominante almeno in pittura (ma chi si cura ancora della agonizzante arte del dipingere una tela?) una assenza di volontà simbolica nell’oggetto rappresentato. Mapplethorne ci ricorda che la scelta del tema può essere deflagrante. ps: anche io su alcune sue opere sono molto a disagio. che sia per la violenza subita o il disgusto e la lontananza da alcune pratiche non so. resta disagio e repulsione. ma forse questo è quello che voleva.